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ARTICOLI DI APPROFONDIMENTO

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LA BIOVIOLENZA OSSIA IL MITO DELLA CARNE FELICE

21 marzo 2021

Negli ultimi anni le investigazioni della associazioni animaliste in tutto il mondo hanno permesso di portare alle persone le immagini degli altri animali e della loro sofferenza all’interno degli allevamenti, dei trasporti e dei macelli. Immagini forti che hanno il potere di incrinare il sentito delle persone, mettendole di fronte a quello che non conoscono: la verità.
Per le persone è di colpo diventato difficile accettare che la bistecca, o il latte o le uova che sono nei loro piatti, provengano da veri e propri lager in cui gli altri animali vengono ammassati e trattati come oggetti. Perché di fronte alla verità le persone si indignano: perché siamo tutti consapevoli che gli altri animali sono esseri senzienti, in grado di provare emozioni e di provare sofferenza come noi.
Dall’altro lato, per l’industria zootecnica, la filiera della carne e del latte tutto questo ha rappresentato “una cattiva pubblicità” e tutta questa indignazione andava rassicurata. Da qui gli spot in tv ingannevoli, con mucche al pascolo, galline razzolanti sotto gli alberi, maiali felici di sacrificarsi per il nostro prosciutto con cui farcire il panino. Per i consumatori il problema è quindi scomparso e da questa accettazione di immagine felice, sono fioriti allevamenti a km 0 in cui puoi andare a conoscere l’animale che poi verrà macellato per te e consegnatoti a casa; mucche al pascolo libere di mangiare in modo più naturale e non gonfiate di mangimi, il cui latte generoso e sano diventerà la formaggetta da acquistare con tanto di etichettatura “etica”.
Il consumatore si sente sicuro, quello che mangerà non proviene da quell’orrore visto nei filmati e la sua coscienza (e pancia) saranno pulite.
Una cosa però non cambia: questi animali avranno anche avuto la possibilità di vivere in condizioni migliori forse dei loro compagni negli allevamenti intensivi, ma il loro destino è uno solamente: essere considerati merce, oggetti, privati di identità e in ogni caso salire sul camion verso il macello. Lo stesso dove ogni giorni milioni di altri animali vengono uccisi per la nostra alimentazione. Uno sfruttamento più gentile, o più ecologico e forse salutare per l’uomo non è comunque eticamente e politicamente accettabile, come non lo è la macellazione “umanitaria”.
Non può esistere una forma di oppressione e schiavitù etica così come una morte compassionevole, quando chi sta morendo non lo desidera. Il riconoscimento del benessere animale quando si sta abusando, sfruttando ed uccidendo quell’animale non può esistere.
Ridiamo agli altri animali la loro personalità, sosteniamoli nella resistenza che ogni giorno mettono in atto nei luoghi di sfruttamento e morte, facciamoci alleati della loro liberazione.
(Paola Lazzarini, attivista antispecista – presidente di Mantova4animals Aps)

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IL GRIDO SILENZIOSO  - specismo e pesci

28/03/2021

Quando parliamo di altri animali nelle tematiche animaliste oppure nelle conversazioni di sensibilizzazione, le persone rappresentano nella loro mente subito maiali, mucche, forse polli… Mai per nessuno il pensiero si indirizza verso i pesci.
Nell’immaginario collettivo spariscono, proprio fra le acque.
Si stima in trilioni il numero di pesci che ogni anno vengono uccisi per l’alimentazione dell’Uomo. Dalle navi che pescano in mare, agli allevamenti in mare e terrestri, i pesci sopportano una morte lenta e crudele. Così come la vita in vasca, dove le malattie della pelle e i casi di “cannibalismo” sono all’ordine del giorno. I pesci sono sottoposti, come tutti gli altri animali di allevamento, a trattamenti per poter crescere rapidamente. Se un pesce in natura raggiunge il suo peso ottimale in due anni e mezzo,  negli allevamenti viene fatto raggiungere in poco più di un anno. Di tutti quelli pescati in mare, la maggior parte viene utilizzata  per nutrire i fratelli nelle vasche degli allevamenti.
“Se il dolore può essere quantificato in base alla gravità della sofferenza, alla sua durata ed al numero di animali che le subiscono, i pesci sono senza dubbio gli animali che maggiormente vengono abusati. Eppure le evidenze recenti ci mostrano quanto siano sensibili, quanto anche loro sono in gradi di provare stress, paura e dolore. La maggior parte dei pesci muore per asfissia, molti per lo sventramento della sfilettatura e del surgelamento, a cui arrivano ancora vivi e coscienti.”
Che cosa ci porta a non annoverarli nella nostra mente quando riflettiamo sul dolore che imponiamo agli altri animali? Perché una mucca od un maiale in  qualche modo lo riconosciamo o ci è capitato di incontrarli nella nostra vita. Con buona probabilità continueremo a nutrirci di lui, sebbene la consapevolezza ci ricordi che sono vivi e senzienti e un dubbio di morale prima o poi si instillerà. Per i pesci, salvo essere appassionati, difficile averli potuti conoscere, averci men che meno stretto una relazione o aver provato a comprendere una loro emozione.
E se parliamo di pesci e del mondo marino, non possiamo dimenticare tutti i cetacei che vengono catturati per diventare giullari in parchi acquatici, subendo addestramenti dolorosi e coercitivi.
Eppure ci sono molte cose di cui non abbiamo una conoscenza diretta, di cui non abbiamo captato le emozioni negative e ne abbiamo compassione. L’antispecismo dovrebbe essere anche questo: senza necessità di conoscenza diretta, nozionale, scientifica ed emozionale dell’altro avere un sentito morale di rispetto per individuo , animale o umano che sia.
Sopra ogni cosa, come sempre, si inserisce il pensiero specista che ci riporta alle classificazioni di cosa è degno di attenzione e cosa (chi) è solo un alimento o un gioco che la cultura e tradizione antropocentrica ci ha trasmesso. Così nel silenzio profondo, come quello del mare in cui dovrebbero vivere liberi, i pesci rappresentano il dolore più grande che nessuno ascolta.
(Paola Lazzarini – attivista antispecista e Presidente di Mantova4animals APS)

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QUANDO UNA SCELTA ALIMENTARE NASCONDE MOLTO DI PIU’

01 Aprile 2021

La parola vegan fu coniata nel lontano 1944  in Inghilterra da un gruppo di attivisti facenti parte della Vegetarian Society. Il loro distacco dalla Associazione avvenne a seguito di una presa di coscienza circa le gravi condizioni di sofferenza degli altri animali allevati nella filiera lattiero casearia. In quel periodo storico, seconda guerra mondiale, uova e miele erano rari sul mercato e pertanto non vennero annoverati al pari dei latticini, come prodotti dalla sofferenza. Il termine vegan è proprio la contrazione di vegetarian e nasconde in sé molto più dell’esclusione di alimenti dalla propria dieta.
Vedere la sofferenza anche dietro prodotti che non sono parti del corpo di un individuo e non ne comportano la morte diretta, ma nascono dallo sfruttamento a lungo termine degli stessi, è il riconoscimento definitivo dell’alterità animale e della volontà umana di interrompere ogni violenza.
Non c’è latte senza violenza (inseminazione artificiale) e sfruttamento di madri e figli separati alla nascita in nome di una bevanda. Non ci sono uova, nemmeno quelle del vicino, senza appropriarsi di” qualcosa” che non è nostro e che non è stato fatto per noi. Così come per il miele, rubiamo l’operoso e prezioso lavoro delle api il cui fine non era certo regalarlo a noi.
Quando portiamo via qualcosa a qualcuno, in ogni ambito, stiamo commettendo un furto ma soprattutto una violenza ed un abuso. Mettiamoci nei loro panni: vorremmo essere difesi, vorremmo che qualcuno si occupasse di ciò che ci accade? E vorremmo lo facesse dando alla nostra sofferenza una gravità inferiore solo perché non c’è di mezzo la nostra morte diretta?
Vegan è una totale presa di coscienza dell’inaccettabile trattamento che stiamo riservando agli altri animali. E dall’industria alimentare, vegan si allarga ad ogni campo in cui gli animali sono abusati: circhi, zoo, caccia, sperimentazione animale, abbigliamento.
Non è una dieta alimentare, non è uno stile di vita. E’ una filosofia di vita, che ci porta a considerare gli altri animali individui portatori di personalità, con il diritto di vivere la loro vita biologica e morale e soprattutto di esistere anche non in funzione dell’Uomo. Proviamo a pensarli liberi, corpi vivi e liberi di prendere decisioni per sé. Non lo crediamo possibile? Riteniamo che un maiale od una mucca non siano nelle facoltà di operare decisioni per se stessi? Allora liberiamo noi stessi dallo specismo e tutto si accoderà alla perfezione.
Ripensiamoci liberi e percorriamo anche le altrui libertà, non solo la nostra.
Paola Lazzarini (attivista antispecista – Presidente Mantova4animals APS)

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NUMERI=CORPI CHE NON CONTANO

8  Aprile 2021

NUMERI = CORPI CHE NON CONTANO
Spesso non si riesce ad avere la dimensione e gravità di un fenomeno se non si hanno numeri alla mano. Un limite prettamente umano. La morte di milioni di altri animali per l’alimentazione umana non è un fenomeno, visto che accade ogni giorno, imperterrito e doloroso. Per certo però non vi è sensazione di quanti individui muoiano per finire nei nostri piatti e molte volte nemmeno ce ne rendiamo conto che ne stiamo consumando poiché l’industria alimentare li “cela” nei prodotti più impensabili (avete mai letto gli ingredienti di certi sacchetti di patatine? Potreste trovare il siero di latte!). Nemmeno si ha la sensazione di chi stiamo mangiando, visto che ci vengono proposti smembrati e senza quindi la possibilità di riconoscerli. Perchè sarebbe proprio in quel momento che in noi si aprirebbe la connessione. Per metterci ancora più distanti, oltre a relegare i macelli in zone della città in cui non metteremmo piede nemmeno per sbaglio, vengono “battezzati” con nomi che mai ci ricondurrebbero all’originario individuo ( avete mai letto su alcune confezioni di prodotti a base di pesce “fiori di…”. Che nesso ci sia fra i fiori e un taglio di carne bisognerebbe indagare…).
Così, qualche numero per capire di chi stiamo parlando. Nel 2019 gli individui che sono stati macellati in Italia hanno raggiunto la cifra totale di 597.197.182. Si intendono tutti quegli individui che sono arrivati al macello e che sono stati uccisi, escludendo pertanto chi durante la fase di nascita, crescita all’interno dell’allevamento e successivo trasporto non è sopravvissuto. La famosa % di “rischio di impresa”. Molto probabilmente bisognerebbe almeno raddoppiare la cifra sopra per sapere quanti altri animali sono rinchiusi negli allevamenti.  Nello specifico parliamo di 511.764.000 polli, 16.573.000 conigli, 11.481.326 maiali. 2.810.435 ovini e 2.624.815 bovini. Lo sottolineo: sono nell’ordine dei milioni ed in un solo anno.
Un altro dato numerico che sconvolge è l’età alla quale questi individui arrivano al macello: le mucche (la maggior parte sono quelle “da latte” terminato lo sfruttamento) fra 4-5 anni (loro aspettativa di vita libere 20 anni) mentre i bovini fra i 10 e 24 mesi (aspettativa di vita liberi 20 anni); le scrofe 3-5 anni (aspettativa di vita libere 15 anni) mentre i maiali maschi 6-12 mesi (mentre anche per loro l’aspettativa di vita da liberi è 15 anni);  i conigli 90 gg (aspettativa di vita liberi fra 8 e 10 anni); galline ovaiole 12-24 mesi (aspettativa di vita libere 8 anni) mentre i polli da carne (broiler) 45 gg (aspettativa di vita in libertà 8 anni). I pulcini maschi 1 giorno, giusto il tempo di finire tritati vivi nei macchinari oppure insacchettati vivi e gettati nell’immondizia. Chi mangia carne si nutre per di più di cuccioli e pensare che i cuccioli fanno tenerezza a tutti. Tranne forse quando di mezzo c’è l’ingordigia, dote esclusivamente umana. Ecco quindi i numeri dei “Corpi che non contano”, come vengono definiti nell’omonimo libro (da leggere) dagli autori stessi Massimo Filippi e Marco Reggio.
Paola Lazzarini (attivista antispecista e Presidente di Mantova4animals APS)
(*i dati numerici sono presi dal Rapporto sulla zootecnia 2010-2019 dell’associazione Essere Animali pubblicato nel 2020)

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VEGAN E’ UNA SCELTA ESTREMISTA?

9 giugno 2019

INFORMAZIONI ETICHE:
Sovente, parlando con le persone della questione animale, ci si sente rispondere che essere vegani è troppo
estremo. Che si può avere a cuore la sorte degli altri animali che sono utilizzati per l’alimentazione umana,
il divertimento, lo sport (?), la sperimentazione…ma che decidere di intraprendere un cambiamento totale,
affinché nella propria vita non si partecipi alla loro sofferenza, è esagerato. Che l’uomo ha molti altri
problemi da risolvere prima.
Perché in fondo abbiamo sempre avuto questo comportamento, lo abbiamo visto e appreso dalla nostra
famiglia, ce l’hanno insegnato e vediamo esser portato avanti dalla società in cui viviamo. Cambiare è
difficile, oneroso, ci metterebbe in una posizione scomoda, ci metterebbe sotto il giudizio altrui. Ne vale
così tanto la pena?
Ovviamente se al centro di questo pensiero mettiamo noi stessi, vediamo solo aspetti negativi e difficoltà.
Così diventa difficile provare a decidere cosa mangiare per pranzo se non vogliamo più nutrirci di parti di
altri animali morti, se vogliamo essere ricompresi (ed accettati) ad un evento sociale al ristorante, se la crema per il viso o il mascara a cui eravamo affezionati è testato sugli animali. Se nostro figlio ci chiede di renderlo felice e portarlo a vedere lo spettacolo al circo o gli animali dello zoo. Potremmo deludere noi ed i nostri cari? Nella natura umana oramai il senso di compassione o di solidarietà sono concetti che non mettiamo quasi
più in pratica: destinare il proprio tempo, pensiero, atti per il bene di qualcuno che non siamo noi sta
diventando sempre più complicato. L’attuale situazione pandemica con i vari lockdown e interruzione della
socialità con implementazione del “pensa a te stesso perché sennò ti puoi ammalare” non fa altro che
proseguire in questo distacco dall’altro.
Che cosa c’entra tutto questo col vegan? C’entra perché se vegan è visto solo come una dieta alimentare,
come una scelta esclusivamente personale da condurre nell’intimità di casa, saremo portati a escludere
sempre l’altro (animale umano e non che sia) dal nostro pensiero, dalle nostre azioni e da una

 proiezione intellettuale della vita. Se riusciamo a comprendere che vegan è ben altro, è una filosofia di giustizia verso un sistema che rinchiude noi e gli altri animali in processi e gabbie mentali, che toglie personalità agli attori, che riduce a numeri… allora comprenderemo che essere vegani è qualcosa a cui tutti noi aneliamo (o dovremmo farlo) per noi stessi, ma prima ancora per chi è oppresso in modo maggiore del nostro. Quindi smetteremo di
vedere maiali, mucche e polli come meri oggetti la cui vita dipende esclusivamente dalla funzione che
hanno per l’uomo. Quando incroceremo i camion carichi di individui destinati al macello non penseremo più che è normale, ma che non è possibile che per la nostra esistenza dobbiamo infliggere dolore e
sofferenze a qualcuno. Di fronte all’elefante allo zoo non penseremo che siamo fortunati, perché senza andare dall’altro capo del mondo potremo raccontare di aver visto una creatura esotica…ma racconteremo
dell’inciviltà dell’uomo nel rendere schiavi altri esseri viventi, tanto da sradicarli dal proprio habitat e
renderli pagliacci.
E se ancora ci risulta difficile credere che vegan sia una posizione di giustizia verso gli altri animali, allora mettiamoci nei loro panni o meglio diventiamo noi vittime di una oppressione. Chiederemmo di essere amati, accarezzati e compianti… o che qualcuno ci porti giustizia e  liberazione? Per certo potremmo
cambiare gli occhiali con cui guardiamo attorno a noi e vegan smetterà di essere un estremismo.
Paola Lazzarini (attivista antispecista e Presidente Mantova4animals APS)

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Cultura specista: esempi pratici

9 giugno 2019

Da alcuni anni a Mantova si tiene un evento intitolato Food&Science, un festival che si propone di fare "divulgazione scientifica affrontando ed approfondendo in modo creativo le tematiche della scienza della produzione e del consumo del cibo". Un tema molto interessante e negli ultimi anni sicuramente estremamente dovuto. Porsi una riflessione su quanto stiamo facendo per produrre il cibo di cui ci nutriamo, le garanzie di sostenibilità, il valore del cibo... l'impatto che questo porta al nostro Pianeta ed alla salute.
Ma, c'è ovviamente un ma, se scriviamo questo post.
Notiamo che in tutte le edizione fra i partner del Festival ci sono coloro che più di tutti stanno sfruttando. Non solo la terra, il Pianeta e tutto ciò che è legato all'Ambiente...Troviamo chi sfrutta gli altri animali, li schiavizza, opprime ed abusa. Il pensiero specista si pone interrogativi su come "raccontare il territorio mettendo assieme scienza, piacere, agricoltura e cultura" ignorando e dimenticando quanti vengono oppressi, manipolati, sfruttati e quindi uccisi tutti i giorni in allevamenti e macelli per produrre quel cibo. Dimenticando che stiamo parlando di vite, persone animali che vengono catalogate con numeri pinzati all'orecchio o marchiati sulla pelle.
Affiancare certi nomi altisonanti come partner del Festival rende tutto una sterile messa in scena autoreferenziale, dove chi soffre e muore per quel cibo non solo è ignorato, ma anche fosse menzionato sarebbe il referente assente della questione.
Sì, perchè anche venisse portata la questione animale, sarebbe in funzione della produttività, di come diminuire l'impatto del grande sistema che l'uomo ha messo in piedi per "migliorare" la produzione o ancora come performare la metodologia di allevamento per produrre sempre di più (alias sfruttare e straziare corpi maggiormente). Nuovamente autoreferenziale.
Un pensiero specista in un sistema antropocentrico.
Possibile mantenere un festival siffatto neutrale ed obiettivo? Possibile portare un dibattito meno specista? Possibile parlare seriamente di nutrizione vegetale per etica... e salute ed ambiente... come vero cambiamento? Forse l'innovazione che cerchiamo è molto più semplice di quello che si pensi.
Si potrebbe eccome... magari cominciando senza i loghi dei luoghi di morte e sfruttamento e gli interventi degli oppressori.

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